Con il nome
“Aconito” vengono identificate un gruppo di specie vegetali
erbacee appartenenti all’omonimo genere, Aconitum. Esse
rientrano tutte nella famiglia delle Ranunculaceae e sono
abbastanza diffuse nelle zone montane Alpine, in ambienti umidi
e ricchi di nutrienti. La caratteristica peculiare di tutte
queste specie è la loro tossicità: il nome stesso deriva dal
greco “Akoniton” che vuol dire “pianta velenosa”.
Infatti, una delle piante più velenose al mondo, l’Aconitum
ferox che cresce sull’Hymalaya, appartiene a questo gruppo.
Anche nel linguaggio dei fiori si fa riferimento a questa loro
caratteristica in quanto l’aconito simboleggia la vendetta e
l’amore colpevole.
Le stesse specie
presenti in Italia sono tossiche: contengono aconitina, un
alcaloide capace di provocare gravi danni a un organismo
vivente. Questa molecola è un veleno molto potente, tanto da
essere considerato l’arsenico vegetale: tre grammi sono
sufficienti per provocare la morte in poche ore.
In passato si
usava per questo motivo intingere le lame e le frecce usate in
battaglia nella sostanza ricavata da queste piante: si rendevano
così efficaci anche le ferite più superficiali.
Infatti,
l’aconitina è tossica non solo per ingestione: anche il semplice
contatto dermico attraverso la pelle integra e non
necessariamente ferita può far comparire i primi sintomi.
Provoca innanzitutto problematiche ascrivibili a reazioni
allergiche, che possono peggiorare fino a paralisi motorie e
respiratorie.
In realtà, come
molti altri principi tossici, anche questo può essere usato in
ambito omeopatico: le corrette quantità ricavate dalla
diluizione della tintura madre sono utili nella cura di
ipertensione e ansia.
Una delle specie
più comuni è l’Aconito napello (Aconitum napellus, foto
1, 2), che vive in terreni umidi e ricchi di nutrienti delle
regioni alpine. Come gli altri ha fiori allungati e appiattiti
lateralmente, lunghi fino a 2 cm, con il petalo superiore a
formare un cappuccio detto elmo. Sono portati in grappoli
allungati e di colore blu-violaceo mentre in altre specie
possono essere anche gialli. Quando la pianta perde i petali e
nello specifico l’elmo, quello che rimane (Foto 3) ricorda un
carro trainato da due animali, infatti questa pianta è anche
conosciuta con il nome di “Carro di Venere”.
Un altro
esempio, Aconitum vulparia, ha fiori delle medesime forme
e dimensioni ma di colore giallo pallido con l’elmo che nasconde
il nettare. In questo caso solo i bombi a proboscide lunga
riescono a raggiungerli, gli altri sono costretti a rosicchiare
la parte sommitale del petalo. Anche questa specie contiene
alcaloidi ed è chiamata “Erba luparia” dal momento che in
passato veniva usata come esca velenosa contro lupi e volpi.
Elisabetta
(Guida
Equestre Ambientale) del Team
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