Un piccolo
animale a bande nere e gialle avanza nel bosco verso l’incendio,
appesantito dal corpo tozzo e dalla lunga coda. Il suo incedere
cadenzato lo porta sempre più vicino alle fiamme che divorano
qualsiasi cosa, ma lui non sembra farci caso: continua
imperterrito, quasi non sentisse il calore. Un altro passo, un
leggero tonfo sul terreno e le lingue di fuoco lo inghiottono.
Come se il piccolo animale fosse fatto di ghiaccio, appena le
fiamme lo sfiorano, sfrigolano e si estinguono: dove passa lui
l’incendio si spegne.
Queste poche frasi di fantasia
possono riassumere la leggenda che Salamandra pezzata (figura 1,
2-Salamandra salamandra, ordine Caudata) porta con
sé dal tempo di Aristotele. Con l’avvento del Medioevo poi,
proprio per questa presunta capacità, venne associata
all’immagine di Cristo (come la fenice) e sono molti i tentativi
di descriverla nei bestiari dell’epoca.
In realtà non c’è alcun fondo di
verità in questa leggenda: come tutti gli anfibi, necessita di
avere la pelle costantemente umida ed è quindi vulnerabile a
qualsiasi disseccamento dovuto alla lontananza dall’acqua.
Secondo alcune moderne interpretazioni l’associazione con il
fuoco potrebbe essere dovuta al fatto che la pelle di questo
anfibio è coperta da sostanze tossiche prodotte da ghiandole
cutanee. Non si tratterebbe quindi di un incendio ma di
un’infiammazione su chi ne entra in contatto. La salamandra
pezzata, infatti, sfrutta queste sostanze come strumento di
difesa contro i potenziali predatori, ma prima li “avvisa” della
pericolosità attraverso la propria colorazione. Il pattern con
colori brillanti e accesi (definito “colorazione aposematica”,
caratteristico anche di altre specie) indica proprio la
tossicità di chi lo possiede e scoraggia gli altri animali ad
avvicinarsi. Anche per l’uomo risulta blandamente problematica:
le sostanze che produce sono leggermente irritanti per occhi e
mucose, quindi è bene evitare di manipolarla.
Un altro motivo per non toccarla è
la sua necessità di avere costantemente la pelle umida: le
nostre mani asciutte possono comprometterla. La Salamandra,
infatti, vive in ambienti umidi, attraversati da corsi d’acqua
ed è più frequente osservarla in giornate uggiose o nebbiose.
Il suo habitat tipico è quello della foresta decidua vicino a
piccoli ruscelli, ma non disdegna anche cespuglieti, pascoli e
margini di boschi. Qualsiasi azione che comporti l’alterazione
del suo habitat, come la captazione delle acque, l’introduzione
di predatori alloctoni e anche la gestione forestale non
compatibile può quindi portare a una grande mortalità nelle
popolazioni.
Il suo areale è decisamente ampio:
si trova in tutta l’Europa centro meridionale, dal livello del
mare fino ai 1800 m di quota. In Italia è diffusa soprattutto
nelle regioni del Nord e localmente è anche molto abbondante.
La Salamandra pezzata è una specie
ovovivipara: le femmine partoriscono ogni anno fino a 70 larve
in acque correnti e ossigenate; nelle popolazioni di alta quota
invece, a causa delle condizioni ambientali, il parto avviene
generalmente una volta ogni due anni. I piccoli di questa specie
sono riconoscibili per la chiazza chiara che colora la base di
ciascun arto (figura 3) e si sviluppano per 1-6 mesi: mangiano,
crescono (possono anche svernare in questo stadio) finchè, ormai
adulti, si trasferiscono sulla terra ferma.
L’adulto è un animale relativamente piccolo
(figura 1), morfologicamente simile a una lucertola: quattro
arti laterali e una coda lunga, ma decisamente più tozzo.
Mediamente raggiunge una lunghezza di 16 cm (anche se può
superare i 20 cm), ma la caratteristica che la rende più
riconoscibile è proprio la colorazione.
Elisabetta
(Guida
Equestre Ambientale) del Team
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