Sul
sentiero del conoscere
"Orchidee spontanee"
Durante le nostre escursioni è capitato di osservare
bellissimi fiori colorati, le orchidee che
con le loro grandi foglie, disegnano paesaggi fiabeschi.
In questo articolo di Elisabetta approfondiremo quali sono le
caratteristiche.
Le
orchidee appartengono a una delle famiglie più ampie, oltre
20000 specie e considerata anche una delle più evolute
(insieme a quella delle Composite). Pensando ad esse non può
non venire in mente il genere più comune, dai grandi fiori
colorati che ricordano le ali di una farfalla (da cui il nome,
Phalenopsis) che troviamo in qualsiasi vivaio. Queste
orchidee in realtà provengono dalle zone tropicali
dell’Asia e dell’Australia e si tratta molto spesso di
piante epifite (che crescono ancorate su un’altra pianta
sfruttando radici aeree). Contrariamente, le specie italiane
sono tutte geofite (con organi di resistenza, rizotuberi, e
radici saldamente ancorate al terreno) e hanno fiori molto
meno appariscenti anche se altrettanto peculiari, come nel
genere Ophris.
In Italia sono presenti
“solamente” 230 specie, oggetto di molti studi scientifici
in quanto la biologia particolare di questa famiglia suscita
curiosità. È necessario però precisare che qualsiasi
orchidea italiana è protetta: la raccolta della pianta o di
parte di essa è assolutamente vietata!
In linea generale queste
piante sono costituite da un fusto erbaceo portante più fiori
organizzati in infiorescenze varie. Ciascuno di essi è
costituito da strutture riconoscibili (foto 1a): organi
riproduttivi maschili, femminili e 6 elementi: 3 esterni, i
sepali, e 3 interni, i petali, dei quali uno ha normalmente
dimensioni maggiori e viene detto “labello” (foto 1b). Un
aspetto peculiare è il fenomeno della resupinazione (foto 2),
per il quale il fiore risulta ruotato di 180° grazie a una
torsione del picciolo o dell’ovario stesso, quindi il
labello viene a posizionarsi verso il basso (anche se non
avviene in tutte le specie e in alcuni casi può addirittura
essere ruotato di 360°).
Questo petalo è
particolarmente evidente nel genere Opris, dove simula
il corpo della femmina dell’insetto (foto 3) e attrae il
maschio che durante la pseudocopulazione si ricopre di polline
trasportandolo poi alla pianta successiva. In altri casi il
labello può essere allungato posteriormente in uno sperone
(foto 4) contenente nettare* richiamando questa volta gli
insetti con ricompense zuccherine.
Una volta avvenuta
l’impollinazione, l’ovario si sviluppa in una capsula che
contiene tra 60000 e un milione di piccolissimi semi (detti
“dust seeds”) che disperdono al primo alito di vento
quando essa si apre longitudinalmente. Essendo così minuti,
hanno poche riserve per poter crescere e infatti è stata
dimostrata la necessità di una simbiosi che viene stabilita
tra l’orchidea e dei funghi, dove questi ultimi forniscono
quelle sostanze indispensabili alla pianta per crescere.
L’orchidea riesce quindi a sopravvivere, superando il primo
stadio di “protocormo” e ad arrivare a quello adulto,
mantenendo spesso la simbiosi con il fungo.
Si deve notare quindi come
nello sviluppo e nella riproduzione di queste specie siano
coinvolti molti altri organismi viventi, impollinatori e
funghi di cui si conosce ancora troppo poco: la tutela delle
piante, quindi è utile anche perché si estende di
conseguenza ad essi.
Considerando poi che
occorrono mediamente dai 3 ai 12 anni per ottenere da un seme
una pianta adulta, è evidente il danno che si crea alterando
anche di poco gli habitat di queste specie.
*per ricavare il
nettare dal fondo dello sperone è necessaria la lunga
“proboscide” delle farfalle che visitano questi fiori.
Darwin aveva ipotizzato l’esistenza di una nuova specie di
farfalla basandosi sulla lunghezza dello sperone di
un’orchidea tropicale: dato che i lepidotteri conosciuti non
avrebbero potuto nutrirsi del nettare a quella profondità, ha
presupposto che dovesse esistere almeno una specie con
spirotromba sufficientemente lunga per farlo.
**la simbiosi tra
funghi e piante è ben documentata e vede una situazione di
mutuo scambio di sostanze: la pianta cede alcuni prodotti
della fotosintesi mentre il fungo ricambia con acqua e Sali
che recupera dal terreno. Lo stesso fungo può poi connettersi
con più piante, anche di specie diverse, creando una vera e
propria rete di scambio, simile al nostro internet, che è
stata definita anche “Wood Wide Web”.
Elisabetta
(Guida Equestre Ambientale)
del Team
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